Rassegna Giurisprudenziale

COVID-19: La sospensione del canone di locazione non è automatica

Le attività commerciali hanno profondamente risentito degli effetti delle misure anti-contagio adottate dal Governo, che ne ha disposto la chiusura in quanto non essenziali.

Le difficoltà conseguenti al decremento di redditività determinato dalla chiusura forzata prima e dal calo di consumi poi hanno posto locatore e conduttore di fronte alla necessità di rivedere gli equilibri contrattuali contemperando gli opposti interessi coinvolti, specie avuto riguardo al canone di locazione.

Il locatore ha infatti diritto di trarre dal bene l’utilità economica che ne è propria mentre il conduttore si trova oggi in grave difficoltà nell’adempiere regolarmente all’obbligo di pagamento del canone.

In tale contesto, la negoziazione e la condivisione della parziale modifica della disciplina contrattuale costituiscono sicuramente il mezzo più efficace per raggiungere risultati soddisfacenti per ambedue le parti.

All’opposto, iniziative unilaterali di sospensione del pagamento del canone di locazione ovvero la riduzione del relativo importo erano e restano, anche a seguito delle disposizioni adottate dal Governo durante l’emergenza sanitaria, illegittime.

L’art. 91 del Decreto “Cura Italia”, a mente del quale il rispetto delle misure dettate per contenere l’epidemia dev’essere valutato al fine di escludere, ai fini degli artt. 1218 e 1223 CC, la responsabilità del debitore non costituisce una clausola di esonero automatico dell’obbligato, dovendo pur sempre essere valutato il contegno del conduttore con riguardo al singolo caso ed alle problematiche concretamente verificatesi nella sfera economica dello stesso.

La normativa emergenziale non ha in nessun modo inciso sull’obbligazione principale del conduttore di provvedere al pagamento del canone di locazione e la condotta contraria integrerebbe gli estremi dell’inadempimento contrattuale. La ragione è chiara: nonostante la chiusura al pubblico l’immobile è sempre rimasto nella disponibilità del conduttore, che ha continuato a conservare all’interno gli strumenti ed i beni necessari all’esercizio della propria attività.

La possibilità e l’opportunità di ricorrere ai rimedi previsti dalle leggi speciali e dal Codice Civile deve essere invece valutato attentamente sia in relazione alla ricorrenza dei relativi presupposti sia in relazione alle conseguenze che ne derivano.

Si pensi ad esempio al recesso per gravi motivi disciplinato dall’art. 27 della Legge 392/1978, a mente del quale il conduttore ha la facoltà di sciogliersi dal contratto in presenza di gravi ragioni: l’esercizio del relativo diritto comporta a carico del conduttore un preavviso di sei mesi durante i quali non viene meno l’obbligo di provvedere al pagamento del canone.

La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, totale o parziale (artt. 1463 e 1464 CC) non prevede invece un preavviso a carico del conduttore, che non dovrà perciò corrispondere il canone per i mesi relativi. Tuttavia, la riconduzione della situazione corrente alla fattispecie normativamente prevista non è automatica. Invero, avuto riguardo alla sopravvenuta impossibilità totale della prestazione, difetta evidentemente il requisito della definitività, trattandosi di una condizione pur sempre destinata a risolversi nel tempo. L’impossibilità parziale, che consentirebbe una rimodulazione dell’obbligo di pagamento del canone, presuppone invece l’inadempimento del locatore a fronte del quale riequilibrare le posizioni delle parti. Nel caso di specie però tale inadempimento non sussiste. L’impossibilità di esercitare l’attività a seguito della chiusura al pubblico è dipesa infatti dal tipo di attività esercitata, vietata di per sé, non invece da un atto o da un fatto riconducibile al locatore.

Neppure l’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore prevista dall’art. 1256 CC consente la riduzione del canone, ma soltanto la posticipazione del versamento, con la conseguenza che una volta terminata la causa che rende impossibile l’adempimento, il conduttore dovrà provvedere al pagamento non solo del canone corrente ma anche degli arretrati maturati a tale titolo.

L’ultimo rimedio codicistico possibile è quello della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 CC). L’epidemia è sicuramente un evento imprevedibile e straordinario che rende più oneroso per il conduttore lo svolgimento dell’attività commerciale. Nondimeno, anche in tal caso la situazione di difficoltà economica non è di per sé sufficiente a giustificare la risoluzione del contratto, dovendo al contrario essere fatta una valutazione delle peculiarità del caso concreto e, in particolare, dell’incidenza della crisi sulla posizione del debitore.

Alla luce di quanto sopra, è possibile concludere che non esiste un automatismo tale per cui l’emergenza sanitaria sic et simpliciter consente al conduttore di derogare alle obbligazioni nascenti dal contratto di locazione ed in particolar modo a quella di corrispondere il canone. Al fine di individuare il rimedio migliore, occorrerà necessariamente valutare la situazione caso per caso, tenendo in debita considerazione la natura dell’attività svolta ed il contesto socio-economico in cui si sviluppa.

© 2019 Studio Legale Lo Torto - Avvocato Divorzista e Matrimonialista Roma

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